Un orefice romano di 65 anni, Massimo Mastrolorenzi, si è tolto la vita nella sua abitazione di via Casalotti, alla periferia di Roma. L’uomo nel maggio del 2003 uccise due rapinatori che stavano tentando il colpo nella sua gioielliera nel quartiere Testaccio. Il 20 febbraio scorso il pm riformulò l’accusa nei confronti del gioielliere: non più eccesso di legittima difesa ma duplice omicidio volontario. E con questa accusa Mastrolorenzi sarebbe dovuto comparire dava…
Un orefice romano di 65 anni, Massimo Mastrolorenzi, si è tolto la vita nella
sua abitazione di via Casalotti, alla periferia di Roma. L’uomo nel maggio del
2003 uccise due rapinatori che stavano tentando il colpo nella sua gioielliera
nel quartiere Testaccio. Il 20 febbraio scorso il pm riformulò l’accusa nei
confronti del gioielliere: non più eccesso di legittima difesa ma duplice
omicidio volontario. E con questa accusa Mastrolorenzi sarebbe dovuto comparire
davanti al gup. Il 9 maggio del 2003, picchiato e legato da due rapinatori che
avevano fatto irruzione nella sua gioielleria in via Aldo Manuzio, l’uomo
riuscì a liberarsi e sparò ai due rapinatori: cinque colpi di pistola, che
uccisero i due banditi, Giampaolo Giampaoli e Roberto Marai. Il pm di Roma
Erminio Amelio, una settimana fa, aveva deciso di contestare a Mastrolorenzi il
reato più grave invece dell’eccesso colposo di legittima difesa, seguendo le
indicazioni del giudice del tribunale, Roberto Ranalli, che il 5 gennaio scorso
aveva deciso di restituire le carte alla procura. Per l’ipotesi più lieve il pm
Amelio, alla fine della sua requisitoria, aveva già sollecitato la condanna di
Mastrolorenzi a otto anni di reclusione, senza concessione delle attenuanti
generiche. Il procedimento per l’uccisione dei due rapinatori ha avuto un iter
complesso: Mastrolorenzi, prima di essere rinviato a giudizio per eccesso di
colposo di legittima difesa il 20 ottobre del 2006, era stato prosciolto, l’11
marzo del 2005, dal gup Giorgio Maria Rossi che aveva ritenuto che l’imputato
avesse agito per legittima difesa. La sentenza era stata annullata
successivamente dalla quarta Corte d’appello per vizi di forma e il
procedimento era tornato, quindi, al vaglio del giudice di primo grado.