Lo scorso 18 marzo l’agenzia stampa Ansa e conseguentemente quotidiani e periodici hanno riportato dell’uscita del rapporto preparato da Amnesty international e dalla Omega research foundation: “Dalle parole ai fatti: applicare il divieto Ue sugli attrezzi della tortura”.
Nei lanci è stato sottolineato con enfasi che cinque aziende italiane avevano venduto dispositivi illegali in dotazione alle forze dell’ordine a Stati dove è accertata la pratica della tortura.
Amnesty international si è detta molto preoccupata per il fatto che l’articolo dell’Ansa abbia seriamente distorto il rapporto e, in particolar modo, le dichiarazioni e le informazioni riportate nel rapporto a proposito delle aziende italiane. “Il nostro rapporto”, sostiene l’associazione in una lettera pubblicata sul sito internazionale di Amnesty international, “non afferma che qualcuna di queste aziende italiane abbia commesso alcun atto immorale o illegale, anzi dichiara esplicitamente che non esistono prove che queste abbiano infranto il regolamento su cui si basa il suddetto rapporto”.
I dispositivi in questione sarebbero spray irritanti a base di oleoresin capsicum e dissuasori elettrici (distribuiti da Defense system srl, Access group srl, Armeria Frinchillucci srl e Joseph Stifter sas), manette da pollici (Joseph Stifter sas), proiettili dissuasori elettrici e bracciali elettrici (Psa srl).
Quanto agli “attrezzi della tortura”, continua Amnesty, “il nostro rapporto non indica che questi siano prodotti la cui importazione o esportazione sia “proibita”, ma semplicemente che sono tra gli articoli compresi nella Normativa (Ce) 1236/2005, che regola (ma non vieta) la loro esportazione. Purtroppo, prima di pubblicare il suo articolo ingannevole, l’agenzia Ansa non si è messa in contatto con Amnesty international oppure con la Omega research foundation. Nel momento in cui l’articolo ci è stato segnalato, abbiamo diffuso una dichiarazione pubblica appena possibile, cioè il giorno successivo (19 marzo), spiegando nei termini più comprensibile possibili che Amnesty international e la Omega research foundation non erano responsabili di questa accusa, respingendo inoltre diverse altre accuse riportate dall’articolo dell’Ansa”.