Il relatore alla commissione Affari costituzionali della camera, Gianluca Vinci, traccia un bilancio positivo del lavoro svolto: «Nessuna, inutile restrizione, frutto di posizioni ideologiche»
Gianluca Vinci è deputato della Lega, eletto nel collegio plurinominale Emilia-Romagna 04, e in queste ultime settimane il suo nome è girato parecchio tra gli appassionati di armi e tra gli addetti ai lavori del comparto armiero, in quanto è stato relatore nella commissione di cui è vice presidente, la 1a Affari costituzionali, del parere di recepimento della normativa europea 2017/853. A differenza di quello che qualche suo detrattore ha tentato di far passare, Vinci non ha legami con il mondo delle armi e a spiegare il perché si sia candidato al ruolo di relatore è lui stesso: «Ho fatto per parecchi anni l’avvocato e mi è spesso capitato di avere a che fare con le criticità della normativa italiana. Io sono convinto che chi ha il porto d’armi sia un cittadino trasparente e irreprensibile e, quindi, ho messo a disposizione il mio contributo per migliorare il quadro normativo».
Lo abbiamo sentito in una pausa dei lavori della camera e gli abbiamo chiesto se sia soddisfatto della maratona che ha portato la commissione a licenziare il parere richiesto dal governo: «Abbiamo fatto cose di buon senso, attenendoci al perimetro imposto dalla direttiva europea, con l’obiettivo di non deprimere il settore nel suo complesso e senza alcun approccio preconcetto. L’esatto opposto di quanto fatto dal governo Gentiloni: in quel caso, il documento partorito era palesemente sbilanciato a sinistra. Noi lo abbiamo ripulito da incrostazioni ideologiche, dando vita a un parere più tecnico e con un profilo molto più istituzionale».
Qual è stato il contributo del settore armiero?
«Credo si sia trattato di uno dei rari casi in cui l’apporto di idee del settore coinvolto è stato positivo, concreto, chiaro. Abbiamo dato la parola ai produttori, agli armieri, agli sportivi e a tutti quelli che potessero offrire un valido contributo, compresi i tecnici del ministero dell’Interno. Sui giornali sono state scritte cose false e la condivisione anche con le altre forze politiche è stata superiore a quanto si possa credere guardando da fuori il lavoro svolto».
Però, siete stati accusati di voler favorire la lobby delle armi…
«Ma quale lobby delle armi! Abbiamo ascoltato esperti, mica potevamo dare la parola agli agricoltori o ai pescatori! Dirò di più: alcuni esponenti del pd hanno voluto buttare tutto in caciara, ma all’interno della commissione chi ha rappresentato il partito democratico mi ha dato atto del fatto che sia stato svolto un buon lavoro e che alcune delle decisioni prese andavano incontro anche alle loro aspettative. Anche il tormentone delle vendite on-line delle armi è stato costruito a tavolino, un caso mediatico creato apposta che si appoggiava sul nulla. Il problema è che il pd, quando governava, era abituato a presentarsi in commissione con la pappa già pronta, mentre la nostra modalità è stata totalmente diversa: ci siamo confrontati, abbiamo discusso e ascoltato gli esperti, poi abbiamo messo a punto un documento che stesse nel solco della direttiva europea, senza ulteriori restrizioni non richieste, come fatto in precedenza dal pd».
Quali sono i punti del parere espresso dalla commissione che ritiene più interessanti?
«Sono riuscito a far ricredere Gennaro Migliore e tutto il pd sulla volontà di inserire la necessità di avvisare il convivente del possesso di un’arma. Lo strumento dell’autocertificazione, in questo caso, sarebbe stata un’arma a doppio taglio, che avrebbe finito per penalizzare i possessori di armi. E poi, è già prevista dal decreto 204/2010, inutile sovrapporre un’ulteriore norma. Credo sia molto più utile l’indicazione che abbiamo fornito al governo di creare una banca dati aggiornata sui possessori e incrociare questi dati con quelli delle Asl, per monitorare in tempo reale le condizioni psicofisiche di chi detiene armi. Su questa mia proposta, lo stesso pd ha dovuto ammettere che si stava andando verso la direzione giusta, senza introdurre inutili vessazioni e appesantimenti burocratici per gli appassionati di armi e gli sportivi. Molto importante è stato anche il passaggio sulle A6 (armi demilitarizzate, ndr) e sulle A7 (le future B9, oggi B7, con caricatore di capacità maggiorata, ndr): trovo giusto e logico aver inserito che possano essere detenute anche a fini collezionisti e non soltanto per l’impiego sportivo».
Su questo controverso punto o su altri avete subito pressioni da parte del ministero?
«Nessuna pressione, è stata rispettata la sovranità del parlamento e abbiamo avuto libertà di manovra a 360°. In un primo momento, sulle A6 il ministero sembrava chiudere, poi ho spiegato i motivi perché si doveva introdurre anche la possibilità di collezionare questa tipologia, primo su tutti il fatto che si tratta di una prerogativa prevista dalla stessa direttiva europea. E io non ho permesso che fossero introdotte misure penalizzanti oltre a quanto previsto dalla direttiva. Aggiungo, per chi non l’avesse capito, che terroristi e criminali comuni le armi le trovano facilmente, ma, di certo, non attraverso i canali del commercio legale di armi».
Che cosa ci dobbiamo aspettare ora dal governo in fase di recepimento?
«Ci tengo a ricordare che i pareri richiesti alle commissioni non sono vincolanti e nulla cambia se nel documento si parli di pareri o di osservazioni, come qualcuno ha voluto far credere in riferimento al parere espresso dalla commissione del senato. Il governo ci ha garantito che si atterrà a quanto è contenuto nei pareri delle commissioni di camera e senato e per questo credo che a recepimento avvenuto il settore armiero si ritroverà in una situazione migliore, senza questioni in sospeso. Il decreto di recepimento emanato dal governo presenterà qualche restrizione in più rispetto al passato, ma sempre nei limiti indicati dalla direttiva europea e, soprattutto, mai frutto della volontà di punire e deprimere il settore. Anzi, il nostro parere è stato obiettivo e frutto della consultazione con i rappresentanti del settore armiero, niente a che vedere con i governi precedenti che elaboravano documenti conseguenza del capriccio ideologico del politico di turno».
C’è un passaggio, però, che preoccupa: si parla di assegnare al ministero dell’Interno il compito di classificare le armi da immettere sul mercato italiano.
«Questo punto è stato fortemente caldeggiato dal Movimento 5 stelle. Si tratterà di verificare attraverso quale strumento di controllo centralizzato sarà reso operativo. L’importante è non ricreare un carrozzone burocratizzato come accadeva prima del 2011».